La Cassazione e i rider: si alle tutele come un lavoratore subordinato
Nella vexata quaestio che sta coinvolgendo il tema dell’inquadramento contrattuale dei rider delle sempre più numerose app di Food Delivery, nei primi giorni del 2020 è intervenuta anche la Corte di Cassazione, con una sentenza di fondamentale importanza per questo tema.
La Corte di Cassazione ha stabilito che i rider devono essere trattati con le medesime tutele dei lavoratori subordinati. La Corte, con questa sentenza, ha così respinto il ricorso della società Foodinho, nell’ambito di un contenzioso che si era aperto fra 5 rider di Torino e la società Foodora.
Insomma, secondo la Cassazione, anche i rider hanno diritto a quel complesso di tutele che deriva dal Jobs Act e che fanno riferimento alla forma di lavoro detta ‘collaborazione organizzata dal committente’.
La società di food delivery aveva a sua volta fatto ricorso contro una sentenza del Tribunale di Torino, che aveva disposto il pagamento a favore dei lavoratori-rider dei contributi previdenziali non goduti, applicando, nel caso di specie, il CCNL logistica-trasporto.
Si era trattata comunque di una sentenza rivoluzionaria: il Tribunale di Torino aveva infatti stabilito che i rider andavano pagati con somme che dovevano essere calcolate ai sensi del CCNL trasporti, quinto livello. Non, insomma, a cottimo.
I cinque rider che avevano deciso di affrontare i giganti delle food delivery si erano detti soddisfatti: prima della sentenza erano inquadrati come lavoratori a chiamata, ma non come dipendenti.
Cosa ha detto la Cassazione nel 2020, e cosa ne consegue
La Cassazione, con sentenza n. 1663 del 24 gennaio del 2020, ha stabilito che nel caso dei rider si deve applicare la normativa relativa al contratto di lavoro subordinato.
Ciò perché anche in questi casi il collaboratore ha svolto la sua prestazione con carattere personale, continuativo nel tempo; inoltre si deve anche tenere conto delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa stessa.
La sentenza in questione è stata a dir poco dirimente: applicandosi l’art. 2, D.Lgs. n. 81/2015, i rider sarebbero dipendenti subordinati con la totale applicazione della disciplina stessa, nel suo complesso.
Secondo la Corte, l’art. 2 del decreto citato avrebbe finalità anche anti elusive: vale a dire, sarebbe nato per essere esteso a quelle forme di lavoro che per natura sono subordinate, ma che dal punto di vista contrattuale – approfittando della debolezza della controparte – paiono invece autonome.
Insomma, essendo che nell’ambito della prestazione lavorativa dei rider potevano riconoscersi i tratti della continuità temporale e l’etero organizzazione, ci sarebbero i presupposti per considerare che si tratta di un rapporto di lavoro subordinato.
Ciò, con tutte le tutele del caso che vanno applicate quindi anche ai rider, allo scopo di tutelare questa categoria spesso debole di fronte allo strapotere delle società.
Per la categoria dei rider, quindi, ci sono buone nuove, per quanto l’inquadramento legislativo ancora oggi sia poco chiaro e spesso confusionario (frutto anche di pronunce spesso discordanti fra i vari tribunali chiamati a pronunciarsi nelle sempre più numerose cause giuslavoristiche che includono i riders come soggetti).