Telecamere in casa: si può controllare la badante ?

Videosorveglianza sul posto di lavoro: delucidazioni in merito

Può capitare spesso che il datore di lavoro sottoponga al cospetto di suoi dipendenti una liberatoria da firmare per l’utilizzo delle telecamere sul posto di lavoro.

In molti si chiedono se questo sia realmente fattibile, se basta cioè il consenso del dipendente, o invece la questione vada passata al vaglio dall’Ispettorato del lavoro.

A chiarire la posizione è stata una sentenza della Corte di Cassazione. Cerchiamo dunque di capire come la legge e la giurisprudenza si comportano a riguardo.

Quando usare le telecamere di videosorveglianza

Secondo la legge è possibile installare un sistema di telecamere all’interno dell’azienda, purché esso non abbia lo scopo di controllare i lavoratori.

Stante dunque, allo Statuto dei lavoratori, i motivi per cui è ammesso l’uso delle telecamere sono i seguenti:

  • Finalità produttive e organizzative;
  • Tutela della sicurezza sul lavoro (come accade per le banche);
  • Tutela del patrimonio aziendale (per preservare il posto di lavoro da eventuali furti).

La legge dunque non ammette deroghe a riguardo, in quanto i lavoratori hanno diritto a sentirsi liberi nei movimenti, senza essere controllati nel loro operato.

Telecamere sul posto di lavoro basta il consenso del lavoratore

Le autorizzazioni alle telecamere sul posto di lavoro

Per poter montare dunque un sistema di telecamere, occorre avviare un procedimento molto complesso. Il datore infatti deve chiedere un’autorizzazione.

Quest’ultima può essere richiesta ai sindacati aziendali (quali RSU e RSA), attraverso una comunicazione preventiva del datore. In un secondo momento vengono poi stabiliti le specifiche dell’accordo sui luoghi e modalità di installazione degli impianti .

In assenza dei sindacati, il datore deve interpellare la Direzione Territoriale del Lavoro. L’azienda deve cioè presentare un’istanza attraverso la compilazione di un modulo apposito.

Qualora la richiesta venga fatta per motivi di sicurezza sul lavoro, la richiesta deve essere accompagnata dagli estratti del DVR.

Questi ultimi devono dimostrare cioè come i mezzi di controllo a distanza abbiano lo scopo di ridurre i rischi di salute e sicurezza cui sono esposti i lavoratori.

Appare dunque evidente che non occorra il “” dei lavoratori per l’autorizzazione, ma certamente il datore ha il dovere di avvisare i suoi sottoposti.

Webcam di sorveglianza c.d. smartcam in casa e ambiente domestico

Sì, l’uso di telecamere installate nella propria casa per fini personali di controllo e sicurezza, rientra tra i campi esclusi dall’ambito di applicazione del Regolamento.

I babysitter & colf devono essere comunque informati dal datore di lavoro.

Sarà comunque necessario evitare il monitoraggio di ambienti che ledano la dignità della persona, proteggere adeguatamente i dati acquisiti con idonee misure di sicurezza, in particolare nella connessione alla rete internet evitare la diffusione.

La giurisprudenza ha sottolineato che le registrazioni ottenute con la telecamera installata dentro casa possono essere usate come prova per perseguire reati come furti o maltrattamenti agli anziani.

Il ruolo della liberatoria dei dipendenti

La liberatoria dei dipendenti di cui abbiamo accennato in apertura, non serve come sostituto dell’autorizzazione, in assenza della quale il datore non può utilizzare le telecamere.

Essa infatti non serve ad appianare l’eventuale difetto in cui versa il datore qualora non abbia chiesto le autorizzazioni.

La qual cosa vale anche se la videosorveglianza rispetta gli scopi consentiti dalla legge (ad esempio, contro i furti). Questo almeno, è quando stabilito dalla Corte di Cassazione.

Per tale ragione, stando alla Corte, è condannabile il datore di lavoro che monta delle telecamere in azienda senza un accordo con i sindacati.

Nulla ha a che valere dunque l’accordo sottoscritto dai dipendenti che si dichiarano favorevoli, in quanto questi ultimi rappresentano la parte contrattuale debole nel rapporto di lavoro e, quindi, firmerebbero a priori qualunque cosa senza obiettare.

La procedura indicata dallo Statuto dei lavoratori non è derogabile e serve proprio ad evitare la forza economico-sociale dell’imprenditore rispetto ai dipendenti i quali dunque non hanno il potere di dare il via libera alla videosorveglianza.

In caso contrari o infatti l’azienda tenderebbe a farsi forza con una firma all’atto dell’assunzione, per chiedere ai dipendenti l’uso di ogni tecnologia di controllo, in virtù del fatto che il lavoratore acconsentirebbe a tutto onde evitare di rischiare l’esclusione.

Conclusioni sulla procedura corretta

In conclusione, volendo riassumere quanto appena detto, diciamo pure che la videosorveglianza può essere esperita nei casi previsti dallo Statuto dei lavoratori.

Non può altresì mancare il consenso dei sindacati, o della DTL. La liberatoria è strumento ulteriore ma non fondamentale per l’installazione delle telecamere.

Il datore ha il dovere di avvertire i laboratori sul a farsi, anche attraverso cartelli ben visibili. È considerato per tanto illegittimo l’impianto di telecamere autorizzato dai sindacati, ma installato senza aver avvertito i dipendenti.

L’azienda deve inoltre scegliere un addetto alla gestione dei dati registrati dall’impianto e che se ne assumi la responsabilità. Ha infine l’obbligo della cancellazione delle immagini dopo 24 ore dalla rilevazione.

Guida a cura dello Studio Legale

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    2 risposte

    1. Giugno 6, 2021

      […] a Sestri Ponente perché la proprietaria dell’appartamento, nel visionare le immagini di una telecamera nascosta nella camera da letto, ha scoperto la colf straniera prendere una somma di denaro dal […]

    2. Dicembre 21, 2021

      […] questa manovra andata male sarebbe emersa nelle registrazioni effettuate dalle telecamere di videosorveglianza che la figlia dell’ultranovantenne aveva fatto installare nell’abitazione, in modo tale […]

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