Il Ministero del Lavoro, per mezzo del parere prot. n. 14751 del 26 luglio 2016, è intervenuto nel merito della questione relativa alla occupazione irregolare di cittadini extracomunitari richiedenti protezione e/o asilo politico definendo quando il lavoratore straniero richiedente asilo politico possa essere considerato “occupabile” o meno, nonché chiarendo quali sono i documenti che datore di lavoro ed ispettori devono acquisire dal lavoratore straniero.
Nel parere parere prot. n. 14751 del 26 luglio 2016, infatti, il Ministero chiarisce che, trascorsi 60 giorni dalla richiesta di protezione internazionale e asilo politico, la stessa ricevuta che viene rilasciata al momento della richiesta vale quale permesso di soggiorno provvisorio e, in virtù della stessa e come la medesima afferma, il cittadino straniero “è autorizzato a svolgere attività lavorativa”.
Superando ogni dubbio interpretativo, dunque, il Ministero del Lavoro ha ribadito come sia legalmente possibile l’impiego di lavoratori richiedenti protezione internazionale ed asilo politico e, al contempo, come il datore di lavoro debba acquisire copia della ricevuta di verbalizzazione della domanda di protezione internazionale al momento dell’assunzione.
Questo documento, infatti, dovrà essere mostrato dall’azienda in caso di ispezione degli Ispettori del Lavoro e la sua acquisizione serve per avere la certezza della data a partire dalla quale, del resto, si calcolano i 60 giorni trascorsi i quali il lavoratore può essere occupato.
È opportuno, aggiungiamo noi, che il datore di lavoro acquisisca anche una certificazione rilasciata dal lavoratore extracomunitario nella quale lo stesso dichiara che il procedimento di richiesta protezione e asilo politico non si sia già concluso ed il ritardo nella conclusione dello stesso non sia ascrivibile al lavoratore extracomunitario richiedente.
Sono queste, infatti, le due condizioni che possono rendere invalido il permesso di soggiorno provvisorio e riguardo le quali, però, il datore di lavoro non può indagare autonomamente.
Il Ministero del Lavoro, oltre quanto sopra esposto, ha anche precisato che qualora lavoratori extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno provvisorio vengano impiegati in nero, ovvero senza invio della comunicazione preventiva di assunzione, il datore di lavoro è soggetto alla maxi sanzione ai sensi dell’art. 3, co. 3, D.L. n. 12/2002 (L. n. 73/2002), come da ultimo modificato dall’art. 22, D.Lgs. n. 151/2015 mentre non trova applicazione la sanzione penale di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. n. 286/1998.
Chiaramente, in mancanza della ricevuta di verbalizzazione della domanda di protezione internazionale, o qualora non siano ancora trascorsi 60 giorni dal rilascio della stessa, il lavoratore straniero non sarà “occupabile” e di conseguenza l’occupazione del lavoratore extracomunitario darà adito non solo alla maxi sanzione sopra indicata ma anche alla segnalazione alle forze dell’ordine sia per la configurabilità dell’ipotesi di reato di cui all’art. 22, comma 12, del D.Lgs. n. 286/1998 – per quanto attiene il datore di lavoro – che per la verifica della posizione dei cittadini stranieri, per quanto attiene questi ultimi.
Infine, sempre per mezzo della propria nota prot. n. 14751 del 26 luglio 2016, il Ministero del Lavoro ribadisce anche come il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non possa essere convertito in permesso per motivi di lavoro, “atteso che risultano del tutto differenti i presupposti e i requisiti necessari per il rilascio dei due provvedimenti autorizzatori”.