Licenziamento: cosa spetta al lavoratore
A licenziamento avvenuto, il lavoratore si trova spaesato e senza più una fonte di guadagno.
Tuttavia il dipendente licenziato ha dei diritti, e come tali essi possono essere esercitati seduta stante. Vediamo quali.
Il TFR
La primissima pretesa di un dipendente licenziato è il TFR, acronimo di trattamento di fine rapporto.
Chiamato anche liquidazione, rappresenta una somma maturata nel corso degli anni di servizio presso quella specifica azienda.
Per stabilire quanto spetta, basta dividere per 13,5 il totale della retribuzione annua (sottraendo prima le quote destinate proprio al trattamento di fine rapporto) e sottrarre lo 0,5% dell’imponibile.
Quello che si ottiene si rivaluta poi dell’1,5% più il 75% del tasso di inflazione.
La tredicesima
Il datore di lavoro ha l’obbligo anche di versare l’ultima tredicesima maturata nell’anno, ed eventualmente anche la quattordicesima, qualora il contratto collettivo lo preveda.
Essa può essere calcolata partendo dallo stipendio ordinario, in quanto equivale ad 1/12 degli elementi fissi e continuativi della retribuzione.
Le ferie e i permessi non goduti: il diritto
Qualora nel tempo trascorso in azienda, il lavoratore abbia accumulato delle ferie di cui non ha goduto, egli può avanzare pretesa di pagamento al datore di lavoro.
Per chi non lo sapesse, per ogni 15 giorni lavorati nell’arco di un mese, si maturano ferie pari ad un dodicesimo di quelle annuali che spettano.
Il discorso appena fatto vale anche per i permessi non goduti. Il lavoratore può vantare il diritto di vederselo pagati qualora non abbia usufruito delle ore di permesso (non monetizzati) nell’arco del periodo lavorativo.
Per permessi intendiamo riduzione oraria, festività e così via. La quantità di permessi è strettamente correlata al contenuto del contratto e ovviamente cambia anche in base all’anzianità, al livello contrattuale e alla qualifica.
L’indennità di preavviso
Un ex lavoratore può richiedere un’indennità sostitutiva di preavviso nel caso in cui il datore di lavoro non abbia rispettato i termini di comunicazione stabiliti nel contratto.
Tuttavia qualora si dovesse tratta di licenziamento per giusta causa, il dipendente non può avanzare richiesta di questa tipologia di indennità.
Viceversa, se fosse il dipendente ad andare via senza rispettare i termini per le dimissioni, sarà lui a versare all’azienda questa indennità (avrà una detrazione dalla somma finale che gli spetta).
La disoccupazione
La nota dolente per un licenziato non fa tanto riferimento alle spettanze che può avanzare in azienda, quanto piuttosto a ciò che gli deve lo stato.
Più precisamente il lavoratore che resta senza lavoro può avanzare richiesta di disoccupazione, oggi chiamata Naspi.
A questa si può avere accesso quando:
- Il lavoratore versi in stato di disoccupazione, in quanto ha perso involontariamente il lavoro e si è subito recato presso il Centro per l’impiego per presentare la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e alle attività formative, di orientamento e di politica attiva al lavoro;
- Il dipendente abbia svolto un’attività lavorativa di almeno 30 giorni nell’arco dell’anno;
- Il lavoratore abbia ricevuto 13 settimane di contributi nell’arco di 4 mesi.
Il valore della Naspi di solito si aggira intorno al 75% dell’imponibile Inps mensile medio degli ultimi 4 anni qualora l’imponibile resti sui 1.208,15 euro.
Se fosse di più, allora l’importo sarà pari al 25% della differenza tra l’imponibile e la cifra citata.
La Naspi, comunque, può avere un valore massimo di 1.314,30 euro. Dal quarto mese ogni mese riceve una riduzione del 3%.
Il lavoratore riceverà anche l’assegno di ricollocazione, ovvero un voucher di importi differenti a seconda dell’occupazione avuta.
Esso serve per il pagamento dei servizi per l’impiego. L’assegno va di diritto:
- ai disoccupati con il reddito di cittadinanza;
- ai lavoratori in cassa integrazione che già beneficiano della ricollocazione anticipata.
Guida a cura dello Studio Legale ad Imperia
